Il moto browniano è un caratteristico moto caotico che si osserva in piccole particelle, di dimensione dell’ordine di 1 millesimo di millimetro, sospese in un fluido. L’exhibit consente di proiettare questo effetto in forma particolarmente spettacolare grazie al forte ingrandimento. Come particelle browniane si utilizzano i globuletti micrometrici di grasso che sono naturalmente presenti nel latte intero. La giusta concentrazione viene ottenuta mediante diluizione con acqua. La soluzione di latte diluito viene posta su un vetrino sotto l’oculare di un buon microscopio. L’immagine ottica fornita dal microscopio viene ripresa da una telecamera e visualizzata su uno schermo. Scoperto nel 1827, il moto browniano ebbe varie interpretazioni, tra cui alcune di tipo vitalistico. Intorno al 1870, vari autori lo inquadrarono nell’ambito della teoria cinetica del calore, secondo cui ciò che noi percepiamo come calore è l’effetto sensibile di veloci moti disordinati compiuti dagli atomi e dalle molecole dei corpi. In questo contesto il moto browniano risulta dal bombardamento termico che le particelle sospese subiscono da parte delle molecole del fluido circostante. Per evidenziare le differenze tra il moto browniano e i moti vitali, si è consentito lo sviluppo di batteri nella soluzione. I veloci moti unidirezionali dei batteri si distinguono facilmente dal caos browniano. La spiegazione del moto browniano mediante la teoria cinetica del calore presentava però grosse difficoltà perché le velocità osservate nelle particelle browniane erano molto più piccole di quelle previste teoricamente. Nel 1905 Einstein introdusse una trattazione statistica che permetteva di superare queste difficoltà e di ricondurre effettivamente il moto browniano alla teoria cinetica del calore. Basandosi sull’ipotesi delle molecole e del moto molecolare, la soluzione di Einstein contribuì in modo determinante a una diffusa accettazione della realtà fisica degli atomi, che molti scienziati all’epoca mettevano ancora in discussione.
Museo per la Storia dell’Università di Pavia