L’ipotesi einsteniana dei quanti di luce incontrò inizialmente un diffuso dissenso pur consentendo la spiegazione dell’enigmatico effetto fotoelettrico. Nel 1907 Einstein con un articolo sul calore specifico dei solidi diede il suo primo contributo allo sviluppo dell’ipotesi dei quanti verificata sperimentalmente da Nernst e applicata nel 1913 da Bohr alla struttura dell’atomo: lo spettro dell’idrogeno venne spiegato quantizzando le orbite degli elettroni. La teoria semi-classica di Sommerfeld e l’esperimento di Compton del 1923 aprirono la porta al riconoscimento della meccanica quantistica. De Broglie mostrò che è sensato attribuire anche alle particelle proprietà ondulatorie e Bose stabilì che i quanti di luce non sono particelle classiche indipendenti distinguibili l’una dall’altra. Einstein trasferì ad un gas materiale questa concezione di radiazione termica come gas di quanti di luce e rese comprensibile il comportamento termico dei corpi vicino allo zero assoluto. La meccanica quantistica si sviluppò in pochi anni estendendo le teorie iniziali di Heisenberg e Schrödinger. Il suo assunto fondamentale, il Principio di Indeterminazione per cui posizione e velocità delle particelle, non possono essere determinate simultaneamente con precisione arbitraria, non venne però mai accettato da Einstein. Egli tentò di mostrare, con esperimenti ideali quali il paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen, l’incompletezza delle teorie quantistiche, secondo lui inadeguate a una descrizione completa della realtà fisica. Nel 1964 un controllo empirico di questa controversia risultò favorevole alla meccanica quantistica.